patatine fritte

Le patatine fritte non fanno male se sono fritte in modo corretto

patatine fritteAmate le patatine fritte ma temete per la salute e per la dieta? Finalmente è in arrivo una buona notizia: la frittura, se fatta in modo corretto, non fa male. Una bella scoperta che arriva dagli esperti dell’Università Federico II di Napoli e della Scuola di Cucina Professionale “Dolce & Salato” di Maddaloni, in provincia di Caserta, dalla quale risulta che il fritto non fa male a patto di seguire alcuni accorgimenti.

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patatine fritte

Difficile trovare un bambino o un ragazzo che non ne sia goloso: le patate fritte restano uno dei piatti più amati e più richiesti. Del resto, proprio le patatine fritte sono una delle chiavi del successo planetario dei fast food: non a caso il consumo di questo alimento è stato sti­mato nella stratosferica cifra di 11 milioni di tonnellate al­l’anno. Però le patate fritte sono ormai il simbolo per ec­cellenza del cosiddetto “junk food“, il “cibo spazzatura”  contro il quale insorgono medici nutrizionisti ed esperti di alimentazione, accusandolo di essere il principale responsabile del sovrappeso, dell’obesità e del diabete giovanile.

 Ma quanto c’è di vero nella pessi­ma reputazione della patata fritta? davvero un piatto da evitare assolutamente o è invece accettabile togliersi di tanto in tanto qualche sfizio? Il primo problema riguarda gli oli in cui le patate vengono cotte: molto spesso nei prodotti industriali e in quelli di ristorazione collettiva vengono utilizzati l’olio di girasole, arachidi, riso o colza. Si tratta di grassi vegetali privi di Omega 3, che durante la frittura sviluppano dei radicali carboniosi pericolosi per la salute dell’organismo.

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olio migliore per friggere

Sappiamo tutti che con le fritture è meglio non esagerare e questo non solo perchè gli alimenti preparati con questo metodo di cottura si presentano in genere più calorici e meno digeribili. Infatti i grassi, vegetali o di origine animale, impiegati per la frittura raggiungono temperature molto elevate che ne alterano la struttura molecolare e causano la produzione di una sostanza nociva per l’organismo, l’acroleina, visibile sotto forma di fumo ed altamente nociva per fegato e mucosa gastrica.

Questo accade tanto più rapidamente quanto più l’olio è ricco di grassi polinsaturi, quindi instabile e poco resistente alle alte temperature. Il cosiddetto punto di fumo, ovvero la temperatura massima raggiungibile da un grasso prima che cominci a degradarsi e ad emettere sostanze tossiche, varia infatti di grasso in grasso anche in funzione della sua composizione originaria, del processo di raffinazione cui viene sottoposto, e del tempo di esposizione al calore.

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