Sappiamo tutti che con le fritture è meglio non esagerare e questo non solo perchè gli alimenti preparati con questo metodo di cottura si presentano in genere più calorici e meno digeribili. Infatti i grassi, vegetali o di origine animale, impiegati per la frittura raggiungono temperature molto elevate che ne alterano la struttura molecolare e causano la produzione di una sostanza nociva per l’organismo, l’acroleina, visibile sotto forma di fumo ed altamente nociva per fegato e mucosa gastrica.
Questo accade tanto più rapidamente quanto più l’olio è ricco di grassi polinsaturi, quindi instabile e poco resistente alle alte temperature. Il cosiddetto punto di fumo, ovvero la temperatura massima raggiungibile da un grasso prima che cominci a degradarsi e ad emettere sostanze tossiche, varia infatti di grasso in grasso anche in funzione della sua composizione originaria, del processo di raffinazione cui viene sottoposto, e del tempo di esposizione al calore.
Date queste premesse, quale olio è più indicato per ottenere il risultato migliore? Sicuramente la nostra scelta dovrà cadere su quelli più stabili e resistenti alle temperature elevate: l’olio di arachidi e l’olio di oliva sono fra questi e non a caso il loro utilizzo è stato raccomandato dal Ministero della sanità attraverso una circolare emanata nel 1991 (Oli e grassi impiegati per friggere alimenti). Al contrario, l’olio di semi di girasole, di mais e di soia hanno tutti un punto di fumo piuttosto basso e sono sconsigliati.
Qale che sia l’olio scelto per friggere, meglio adottare alcuni accorgimenti durante la cottura: se è possibile non riutilizzare l’olio già usato e comunque non aggiungere mai a questo olio “pulito”, evitare le fritture prolungate e friggere comunque a temperatura controllata (precauzione resa possibile dall’utilizzo di una friggitrice dotata di termostato).
I nutrizionisti raccomandano inoltre di salare i fritti solo a fine cottura, perchè il sale aggiunto all’olio in cottura ne accelera il processo di ossidazione.