Quante volte le persone decidono di fare la dieta per curare un disturbino? Il più diffuso è la colite spastica (almeno nell’immaginario collettivo). Un classico è eliminare alcuni cibi dalla propria alimentazione, magari improvvisare una dieta e una terapia fai-da-te assumendo farmaci e probiotici. In realtà l’auto-diagnosi non è mai una scelta saggia perché gonfiori, dolore addominale, stipsi o diarrea possono manifestarsi in modo ciclo e non è detto che sia colite. Intanto però che succede? Che ci siamo privati di alimenti importanti.
A sostenere questa tesi è Alessandro Armuzzi, gastroenterologo del complesso integrato Columbus-Università Cattolica di Roma, intervenuto durante Digestive Disease Week (DDW) di Chicago.
In realtà colite spastica non vuol dire nulla: nella maggior parte dei casi si tratta di sindrome del colon irritabile, un problema che affligge due italiani su dieci, che troppo spesso si affidano a diagnosi e rimedi fai da te.
La sindrome del colon irritabile colpisce un po’ più spesso le donne ed è caratterizzata da un andamento ciclico e stagionale, ma il trattamento per essere efficace deve essere studiato dal medico e davvero su misura. Purtroppo sta diventando un vizio tutto italiano quello di essere convinti di potersi curare da soli o che i medici non abbiano le competenze. Ma come possiamo essere in grado di valutare? Anche nella scelta dei probiotici, per esempio, bisogna fare attenzione: non sono tutti uguali. Alcuni possono essere utili, altri meno. Poi, per migliorare la colite in alcuni casi è bene eliminare la verdura e il latte, per diminuire il gonfiore e il dolore, ma anche questa non può essere una regola valida per tutti.
Così come, spesso s’incolpa di tutto alle intolleranze alimentari. Lo abbiamo detto anche di recente: molti ricercatori ormai sono convinti che ci sia una forte componente psicologica e non si può causare una carenza alimentare, convinti di risolvere un disturbo.