Diario di una dieta, il primo appuntamento con la bilancia

La notte che precedette il primo appuntamento con la bilancia fu lunga e travagliata, come si dice in questi casi. Mi rigirai per tutta la notte nel letto svegliandomi di continuo. “Quanto avrò perso” mi chiedevo durante i miei brevi e frequenti risvegli, per poi ripiombare subito in un sonno agitato. Mi sentii quasi tentata di alzarmi nel bel mezzo della notte per andare a pesarmi. Non so perchè non lo feci. Forse mi sare tolta subito il pensiero e avrei ricominciato a dormire in santa pace.

Dormire, già. Io adoravo dormire. Avrei dormito tutto il santo giorno e, d’altra parte, ero afflitta da una sonnolenza continua. Cosa che mi aveva sempre impedito di essere pienamente efficiente nella stragrande maggioranza delle imprese della mia vita, dalla scuola, dove passavo le ore di lezione a sognare ad occhi aperti con le conseguenze che potete immaginare, al lavoro durante il quale non facevo altro che guardare fuori dalla finestra e sognare il momento in cui avrei potuto stendermi sul divano e chiudere un po’ gli occhi prima di preparare la cena e anche in questo caso le conseguenze erano quelle che potete immaginare.

Come se non bastasse la mia sonnolenza cronica poi, ero anche una martire della cosiddetta sonnolenza post prandiale, ovvero il devastante bisogno di dormire che ti assale dopo pranzo. Ho sentito dire che ne sono responsabili i carboidrati e che il disturbo ha a che fare con la loro digestione e con i picchi di insulina. A pensarci bene, io non vivevo senza carboidrati e spesso ne consumavo in quantità smodate. Oltre il danno però mi toccava anche la beffa, dal momento che li digerivo, e li digerisco, ad una velocità impressionante e dopo appena qualche ora aver mangiato 100 grammi di spaghetti ero di nuovo affamata.

Neanche a dirlo, questo mio piccolo problema mi aveva sempre tenuta lontanissima dalla palestra, luogo che avevo frequentato solo sporadicamente e per brevi periodi giungendo a trovarmi quasi addormentata persino nel bel mezzo di una travolgente lezione di aerobica; la stessa che scuoteva le mie compagne di corso in ogni fibra del loro essere facendole sembrare, senza dubbio al mio confronto, delle invasate. Come potete immaginare, è per lo stesso motivo che la mia bicicletta, una bellissima city bike, si ricoprì totalmente di muffa dopo essere rimasta chiusa in garage un quinquennio.

Insomma ero una pigra incorregibile e mangiavo troppi carboidrati che mi finivano subito sul sedere senza passare per il via. Se non dovevo correre ai ripari io mi chiedo chi altro dovesse farlo. In compenso, il mio primo giorno di dieta mi aveva dato una fiducia incrollabile nelle mie capacità di recupero e nonostante i miei limiti sentivo di poter dimagrire facilmente. Fu così che quando finalmente la sveglia trillò corsi verso il bagno togliendomi il pigiama in corridoio (i pigiami pesano parecchio, nel caso non ve ne foste accorte) e giunta alla meta in mutande salì delicatissimamente sulla bilancia tenendo gli occhi chiusi.

Li riaprì qualche secondo dopo e restai a fissare il muro per un po’ prima di decidermi ad abbassarli. Avevo il cuore fuori dal petto, neanche quell’odiato, amato, temuto rettangolo avesse dvovuto dirmi quanti giorni mi restavano da vivere. Poi, finalmente li abbassai per guardare il display: 66,4. Il mio primo giorno di dieta mi aveva portato via 400 grammi. Tirai un enorme sospiro di sollievo e sperai in una giornata uguale alla precedente, una giornata dimagrante. Mi sentivo euforica, avevo vinto il primo round. Non sapevo che, di lì a poco, avrei dovuto fare i conti con il mio terribile dei nemici per una donna a dieta: le tentazioni della dispensa.

Capitoli precedenti

Diario di una dieta, la decisione di cominciare

Diario di una dieta, il primo giorno

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