Il sushi finisce nel mirino e scattano i controlli sulle importazioni giapponesi in tutto il mondo. Dopo l’esplosione della centrale nucleare di Fukushima, infatti, è stata rilevata la presenza di sostanze radioattive sia nel cibo, che nell’acqua.
Alcuni Paesi, hanno persino bloccato del tutto l’import. I dati sono allarmanti, e sembra che la situazione in Giappone sia destinata a peggiorare di ora in ora.
Nelle verdure a foglia verde, sono state rinvenute tracce di iodio-131 in quantità tali da destare grande preoccupazione, perché supera di 11 volte la soglia consentita dall’UE. Mangiando 1 chilo di spinaci, ad esempio, si assume la stessa quantità di radiazioni che si riceve naturalmente dall’ambiente in 1 anno intero.
Come molti sapranno, infatti, le fonti terrestre o cosmiche emettono delle radiazioni, che ogni essere vivente incamera, ma il rischio di sviluppare un tumore diventa significativo solo quando si supera il limite di contaminazione annuo di 100 millisievert.
Lo iodio-131 favorisce l’insorgenza del tumore alla tiroide, ma questo elemento chimico perde il suo potere radioattivo nel giro di poco tempo. In 1 settimana, infatti, la sua pericolosità si dimezza e in 80 giorni svanisce del tutto. Al contrario del cesio, anch’esso rivenuto negli alimenti in quantità superiori al limite stabilito dall’Unione Europea.
Il cesio, infatti, è un elemento chimico ben più pericoloso dello iodio-131. L’esposizione a grandi quantità di cesio, provoca danni molto seri alla salute, dalle ustioni ai tumori, sino alla morte. Inoltre, l’inalazione o l’ingestione al cesio radioattivo è responsabile di spasmi muscolari e di infertilità.
Il cesio, purtroppo, non viene smaltito in tempi relativamente brevi, perché si tratta di una sostanza chimica particolarmente resistente, tanto che perde il suo potere radioattivo solo dopo 240 anni. Un lasso di tempo a dir poco spaventoso. A destare grande preoccupazione, è anche il cesio-134, anch’esso, infatti, perde la sua pericolosità solo dopo 20 anni.
L’emergenza nucleare, inevitabilmente, ci porta a riflettere sulla presunta necessità di centrali anche in Italia, il fanalino di coda nelle energie rinnovabili.